Oggi, 9/11

Oggi, 11 settembre. Dieci anni fa. Non c'è nessuno che sappia di quel giorno che non si ricordi dove fosse, o con chi, o che cosa stesse aspettando.
L'America coglie l'occasione, forse, per fare un bilancio. I pochi ammessi a Ground Zero orlano le imponenti fontane nere. Due buchi d'acqua, che rimangono nel ventre di Manhattan come un memoriale.
I gesti giudicano più delle parole. I nomi dei morti si leggono ad alta voce.
Ma ciò che resta sono le facce di gente qualunque, con le magliette memoriali e anche un po' kitsch, o con un rigoroso abito nero a giacca. Le mani sono tutte sui bordi di marmo nero delle grandi piscine, dove sono incisi i nomi dei morti, in una sorta di braille della disperazione comune. Ci sono rose rosse, una ad una, e qualcuno spezza un gambo per infilare i boccioli nei nomi - fessura. Le mani nei nomi sembrano l'unica cosa. Si vorrebbe non andarsene mai, come se lasciare quel nome volesse dire lasciare andare una storia, una vita, un'altra volta.
E allora qualcuno si ricorda che da bambini, per tenere le tracce di una cosa affascinante (una foglia piena di nervi trovata nel giardino della scuola, o una moneta), bastava un foglio bianco, e una matita possibilmente grassa. Sono prima i bambini, in effetti, a cominciare. Passano la matita sui nomi dei padri, dei fratelli. Poi guardano il foglio.
Nel nome c'è tutto. Il Nome è Dio, nelle grandi religioni del mondo.
Ci si porta a casa, in tasca, almeno un nome. Inciso sulla carta, come una stampa al negativo.


Si sente il rumore dei fuochi, da fuori. Gli ultimi fuochi delle ultime sagre, con la scuola alle porte.

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